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L’arte di vivere

Dice Lao-Tzu: Un uomo dotato di coraggio esteriore osa morire,  un uomo dotato di coraggio interiore osa vivere.

Nella vita attuale e in questa parte di mondo, nonostante il benessere materiale e tecnologico nel quale viviamo, l’uomo manca della felicità.

Confondiamo spesso quest’ultima con i piccoli, effimeri, attimi di piacere, ma è pur vero che finché all’interno dell’uomo vivrà l’ego non sarà possibile sperimentare la vera felicità.

Ad esempio l’orgoglioso può illudersi d’essere felice quando gli altri lo ritengono importante, ma cadrà nella disperazione quando questi smetteranno di adularlo… la vera gioia non è mai cagionata e condizionata da circostanze esterne, è indipendente alla gratificazione dei nostri aggregati psichici.

La felicità va di pari passo con la libertà. Solo un uomo libero, non dagli impegni esteriori, ma da se stesso, può essere felice.

I grandi Maestri quando hanno parlato della realizzazione non hanno mai illuso nessuno che il cammino da compiere per raggiungerla fosse facile e piacevole. Al contrario la via da percorrere è descritta come “angusta, stretta e difficile”.

Nel quotidiano ci imbattiamo costantemente in ostacoli e contrattempi, che possono essere subiti egoicamente come normalmente facciamo, oppure vissuti coscientemente, come mezzi per liberarci.

L’arte di vivere consiste non nell’imparare a sopravvivere, che è ciò a cui siamo avvezzi, ma piuttosto nell’imparare ad osservare l’aspetto psichico, la vita interiore, che è la nostra vera vita.

Non ha perciò importanza “cosa” fisicamente facciamo, ma “come” interiormente lo viviamo, come affrontiamo nel quotidiano ciò che incontriamo sulla nostra strada.

L’incontro con l’esteriore suscita in noi piacere o dispiacere, ma in entrambi i casi è uno stimolo a vedere cosa avviene dentro di noi.

Di fronte ai problemi esterni possiamo anche tentare la fuga, come spesso facciamo, ma poi ce li ritroveremo davanti moltiplicati. È meglio allora accettare il disturbo, per osservare ciò che in noi stessi non va, che provoca il dispiacere, al fine di guarire definitivamente il nostro squilibrio.

L’altro è lo specchio che ci consente di vedere chi siamo.

Se non riconosciamo in noi stessi l’errore come potremo correggerlo? E come potremo arrivare ad essere felici?
Attualmente per “essere felici” dobbiamo essere distratti, e lo siamo costantemente, da continui stimoli che ci proiettano fuori di noi, stimoli che ci assorbono, ci incantano, ci addormentano.

Pascal diceva che tutta l’infelicità degli uomini deriva dal non saper restare tranquilli in una stanza, secondo lui gli uomini hanno la costante necessità di impegnarsi in qualcosa per non accorgersi della loro infelicità.

Aveva ragione, ora più che mai abbiamo bisogno di impegnare ogni attimo della nostra vita, una sola ora di inattività ci getta nella noia, nel panico…

La soluzione ai problemi umani non è mai collettiva, è individuale. Le soluzioni per la massa non prevedono la presa di coscienza individuale ma soltanto una manovra tecnica che non potrà mai funzionare.

L’individuo non può aderire a norme che non appartengono ai suoi valori interni. Ma l’essere umano attuale non vuole imparare, attraverso una sua propria consapevolezza; è perciò costretto a creare norme, divieti e punizioni, che non ottengono però lo scopo di eliminare la sua tendenza a delinquere.

Diceva Lao-Tzu che il trovarci quotidianamente immersi in situazioni spiacevoli è un buon mezzo per diventare artisti nell’arte di vivere e approdare a una vita trascendente.

Da un punto di vista spirituale il vero amico è perciò colui che ci contrasta, permettendoci di conoscere noi stessi. La vita offre ad ognuno di noi una palestra adeguata alla conoscenza di sé, incontriamo cioè le esatte circostanze che ci consentono di lavorare su di noi, sempre che le viviamo consapevolmente, autosservandoci.

Se invece cediamo costantemente a conflitti e tensioni finiremo col danneggiare il nostro sistema nervoso, che è il mediatore fra il mondo fisico e quello psichico. Il sistema nervoso è un rete sottile che ci collega al mondo spirituale più elevato.

Nel momento in cui non riusciamo ad entrare nel mondo interiore ci troveremo sempre più smarriti di fronte all’accumularsi dei problemi. Ma cos’è un problema? Il problema in sé, in realtà, non esiste, lo ha creato la mente, davanti a un fatto che suppone sia difficile da affrontare, perciò non ha esistenza se non nel mondo della mente.

La nostra mente tende a “pre-occuparsi”, a creare problemi.Viviamo abitualmente in questo tipo di schema, convinti che non ce ne sia un altro.

Lao-Tzu afferma che spesso la soluzione di un problema si trova nel problema stesso.

Un primo consiglio, al manifestarsi di una problematica, è quello di lasciarla momentaneamente da parte e creare le condizioni idonee per affrontarla.

Prima di tutto scarichiamo la tensione che si è generata attivando il centro motorio con una sana attività fisica, poi attiviamo il centro emozionale superiore con uno stimolo idoneo (l’ascolto di musica classica, l’annusare qualche buona fragranza…) infine rilassarsi respirando profondamente e sciogliendo le tensioni fisiche e mentali.

A questo punto, rilassati, possiamo affrontare il fatto, non il problema ma il “fatto”, senza lasciarci coinvolgere da vani timori e paure. Nella vita non ci vengono mai imposti ostacoli che non abbiamo la possibilità di superare.

Nella tradizione cinese si narra una fiaba nella quale una madre, inconsolabile per la morte del figlio, chiede al Buddha di riportare il bimbo alla vita. Il Buddha le promette che lo farà non appena lei troverà una famiglia che non abbia avuto lutti. Lei parte speranzosa e bussa di porta in porta, ma dopo aver girato il mondo torna a casa,  conscia del fatto che ognuno ha avuto nella vita un morto per il quale piangere. È questa consapevolezza che le consente di accettare il suo dolore e tornare a vivere.

Lo studio delle antiche religioni ci permette di comprendere che non siamo padroni di noi stessi, che dobbiamo conoscere chi siamo, scoprire i nostri veri artefici, ciò che non ci permette di essere ciò che siamo, nell’Essenza e nell’Essere. Dobbiamo reintegrare i nostri aspetti fino a riunificarli. L’autosservazione va affiancata alla comprensione, senza la quale non possiamo raggiungere l’eliminazione degli aspetti che rendono impossibile questa unità.

Comprendendo la nostra pluralità psicologica, la molteplicità dei personaggi che ci abitano, possiamo vedere chi ci ha rubato l’anima, chi ci ipnotizza rendendoci schiavi di qualsiasi fascinazione esterna e privandoci della nostra  essenza.

Dovremo allora fare come San Giorgio, che toglie la vita al drago, o Arjuna, che uccide i suoi “parenti”, o come Osiride, che sopprime il fratello Set e i demoni rossi che lo accompagnano, ognuno di loro elimina la propria molteplicità al fine di tornare all’unità. È il mistero di Perseo che decapita Medusa: sono in realtà la stessa persona, lui uccide quindi il se stesso e così facendo si libera dalla schiavitù e torna al suo Essere.

Dobbiamo, per liberare l’anima, possederne almeno una scintilla libera. Come dicevano gli Alchimisti, per fabbricare l’oro occorre possederne almeno una briciola. Chi non ne possiede è una “casa vuota”, ormai priva di ogni barlume di luce e di speranza per un interesse superiore.

Nello stato egoico è come se possedessimo un castello nel quale il re è chiuso nei sotterranei, mentre sul trono si alternano loschi individui, i nostri aggregati, che possiedono la principessa, l’anima.

È necessario eliminare tali usurpatori e rimettere sul trono il re, l’Essere.

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