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Carenza di vitamina D e Covid

È sempre più evidente che tra i fattori che incidono sulla gravità del Covid-19, oltre che sulla probabilità di esserne contagiati, emerge la carenza di vitamina D.

Quindi se una volta alla settimana riusciamo a mangiare il salmone selvaggio, una il fegato, e una le uova, non resta che assumere una compressa di vitamina D al giorno, per vedere risalire e sanare ogni carenza, dovuta alla sempre maggiore incapacità di sintetizzare autonomamente al vitamina D semplicemente con l’esposizione alla luce del sole.

Lo affermano studiosi, quali il professor Giustina, ordinario di Endocrinologia all’Università di San Raffaele oltre che coordinatore scientifico degli studi sulla vitamina D, sulla quale si è incentrata la V International conference on controversies in vitamin D, tenuta a Stresa.

La correlazione fra carenza di vitamina D, (sempre più diffusa non solo fra la popolazione di media età e anziana, ma anche fra i giovani) e la vulnerabilità alle infezioni è abbastanza evidente, ma anche facilmente sanabile.

Non mancano infatti gli integratori che consentono di reintegrare la carenza, con una compressa o con delle gocce, e se ci rivolgiamo per questo al mondo naturale senza effetti collaterali, giacché anche le compresse sono facilmente digeribili.

È buona abitudine, inoltre, arricchire la propria dieta non solo con gli integratori ma anche con cibi naturalmente ricchi di vitamina D.

Non ce ne sono molti, ma fra questi il più ricco è il salmone selvaggio, che qui in Italia si trova solo surgelato o affumicato, lo seguono a ruota il fegato, le ostriche, le uova, e i funghi cresciuti all’aria aperta, non in serra.

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